Prima domenica di Avvento

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 Cari Confratelli e Consorelle,

La storia della salvezza, che la liturgia comincia a ripercorrere con la prima domenica di Avvento, è essenzialmente storia della pedagogia divina, della iniziativa di Dio, memoria di tante sue «venute» verso l'uomo che, insieme riunite, formano il grande Avvento che si estende dalla creazione alla sua venuta finale.
La nostra storia e la vita di ciascuno di noi non attende un futuro   incerto che ci riempie di inquietudine, ma attende l’Avvento di Cristo che realizza le promesse profetiche e che ci riempie di speranza. 
Non ostante tutte le situazioni drammatiche presenti nella nostra città (le violenze che riguardano  i minori e le donne, le ingiustizie e le illegalità,  le malattie e l’inquinamento dell’ ambiente naturale e umano),  la speranza cristiana  ci assicura che non si tratta di una situazione irreversibile e senza ritorno, a condizione che ci poniamo in ascolto della Parola di Dio e ci disponiamo ad una conversione continua. 
  Dio proprio perché è colui che è sempre lo stesso nel suo regno di luce infinita è anche «Colui che viene» per illuminare le nostre tenebre. Non solo oggi ma sempre. 
Ogni volta che celebriamo l'eucaristia memoriale della presenza del Signore siamo invitati a fissare il nostro sguardo non su un incerto futuro sempre meno prevedibile e programmabile, ma su Gesù Cristo nell’attesa, della sua venuta. 
.  La nostra non è solo attesa, ma anche memoria di uno che è già venuto nel mistero del Natale che ci apprestiamo a celebrare e certezza della presenza di Cristo che cammina con noi, al nostro fianco.
Nella Parola di Dio della prima domenica d’Avvento più che il ricordo delle venute passate di Dio, domina il pensiero della sua venuta futura. 
  Isaia nella prima lettura parla di straordinario intervento futuro di Dio. L'era messianica di giustizia e di pace infinita nascerà non tanto da operazioni militari imponenti e da accordi diplomatici ben orchestrati, ma dal culto dell'unico Dio da parte degli uomini e delle donne che decideranno di camminare nella luce della Parola del Signore riconoscendolo come l'unico Padre e fondando in questo modo la vera fraternità universale.
La nostra esistenza ha senso in questa attesa della venuta del Signore, alla quale siamo chiamati ad essere preparati.
Gesù nel vangelo di Matteo ci presenta la venuta del Figlio dell'uomo improvvisa come quella del ladro, terribile come il diluvio, sempre attuale incombente nella nostra vita ordinaria di persone indaffarate e distratte.
La venuta di Cristo è una venuta sempre imminente che richiede la nostra vigilanza continua e gioiosa. 
Se il Signore viene - noi siamo chiamati ad andargli incontro.  Dio viene verso l'uomo, ma non lo incontra se non chi si fa trovare in cammino verso di lui, chi «sta pronto». Il nostro andare incontro al Signore non l'andare del colpevole verso il giudice che condanna, ma l'andare delle vergini con le lampade accese verso allo Sposo che viene. 
Non è più tempo di dormire, ma di vegliare per riconoscere i segni della presenza di Gesù il  Cristo nella nostra vita. Non possiamo vivere la solita vita, mangiando, bevendo, prendendo moglie e marito come se il Signore non dovesse venire mai. La venuta del Signore da un significato nuovo al mangiare e al bere che deve essere fatto nella lode a Dio e nella condivisione con chi manca del cibo o del vestito, da un significato nuovo al matrimonio che diventa sacramento cioè segno che rimanda all'amore di Cristo per la Chiesa sua Sposa.
Dalla concezione della vita come cammino verso Cristo che viene deriva, come ci esorta San Paolo, una vita nuova, come cammino verso la santità, come vigilanza continua, come desiderio di piacere solo a Dio.  Per non perdersi o sbandarsi è necessario chiedere di conoscere le vie del Signore e di essere da Lui guidati dalla sua luce con la "volontà di andare incontro con le buone opere al Signore che viene". 
L'invito di Paolo ad " indossare le armi della luce” è l'invito a rivestirsi di Cristo per camminare in novità di vita. Le armi del credente sono indicate da Paolo in altri brani delle sue lettere: lo scudo della fede, l'elmo della speranza, la corazza della carità e della giustizia, la cintura della verità, i calzari dello zelo, la spada della Parola di Dio.
Di fronte alla certezza di dover comparire davanti al Signore, che ci giudicherà sull’amore, non possiamo vivere una vita affannosa e banale fatta di dissipazioni  che ci distraggono e di evasioni che ci alienano, di azioni sterili e di discussioni inutili. Siamo chiamati a superare la tiepidezza, il compromesso, l'indecisione.
Siamo chiamati a diffondere la fratellanza universale  e a lasciare questa nostra madre terra migliore di come l'abbiamo trovato.   
Il Signore che viene oggi e il Figlio dell'uomo che tornerà alla fine dei tempi ci aiuti a guardare tutte le cose a partire dal loro fine ultimo e ci dia la forza di essere vigilanti nell’attesa ed assidui nella preghiera , operosi nella carità pronti ogni giorno a convertirci e ad essere testimoni della buona notizia dell’amore di Dio verso tutti . per camminare assieme verso il prossimo Giubileo del 2025 come “pellegrini di speranza”.
 
+Michele Pennisi
Arcivescovo emerito di Monreale
Assistente delle Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia


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